il counselor è formatore?
di Giancarla Mandozzi Referente A.I.C.I. ANCONA
"La" vera domanda da porci è: se il counselor è formatore e dunque facilitatore nel dare forma, come può assolvere a questo suo ruolo se egli stesso non ha preso forma?
"La" vera domanda da porci è: se il counselor è formatore e dunque facilitatore nel dare forma, come può assolvere a questo suo ruolo se egli stesso non ha preso forma?
Può apparire domanda non a tema e in effetti tra le abilità e competenze del counselor la sua responsabilità di formatore difficilmente è contemplata, anzi direi che proprio non viene citata ed è comunque implicita. Come sarebbe possibile al counselor prendersi cura dell'altro, che sia adulto o che sia in età evolutiva, se non sentisse e vivesse in sé il ruolo di formatore? come potrebbe aiutare l'altro ad aiutarsi se il counselor, a prescindere dall'approccio scelto, non abbia una allenata competenza a comprendere che cosa significhi formarsi per se stesso e dunque per l'altro? Le abilità di problem solving che si collocano al termine di un percorso di counseling che altro sono se non capacità di individuare e attuare soluzioni coerente con la forma che ciascuno sente propria per la vita per le relazioni con se stesso e con gli altri?
Per queste e per innumerevoli altre situazioni peculiari e caratterizzanti l'efficacia del counseling, il counselor è formatore, è l'agevolatore che aiuta la persona in aiuto a chiarire a se stessa bisogni desideri sogni e a distinguere tra loro, a creare priorità per trovare la propria forma. Anche la formazione è strettamente legata al cambiamento in quanto alla sua base è l'apprendimento che è cambiamento: formare è dunque un processo che tenda a dare forma, in cui forma è intesa secondo i fondamenti dell'antropologia pedagogica come assunto dell'essere in divenire dell'uomo, a far sì dunque che assumano una forma attitudini, aspirazioni, opportunità di crescita di ogni individuo. Il processo di formazione richiede condizioni ben precise, come ad esempio: il partire dall'analisi dei bisogni più o meno espliciti del/i soggetto/i coinvolto/i; l'impegnarsi da parte del facilitatore in un processo comune di ricerca e nel costruire congiuntamente all'interlocutore o interlocutori la valorizzazione e il recupero delle esperienze pregresse; il basarsi, quando l'interlocutore è un adulto o un gruppo di adulti, sui princìpi dell'andragogia per cui l'adulto apprende dalle proprie esperienze, intendendole la sua risorsa permanente e discriminante primaria nell'accettare o rifiutare il cambiamento; il sostenere il cambiamento nel dopo, quando ostacoli esterni o rinvigorito scetticismo potrebbero compromettere i risultati di un corretto e nutrito processo di formazione. È evidente che il counseling si nutre esattamente di queste condizioni, prima fra tutte il coinvolgimento empatico del counselor nei confronti della persona in aiuto, o quell'incontro di follow up previsto proprio come l'esplorazione del cambiamento attraverso i risultati concreti realizzati dalla persona che era in aiuto, dopo il percorso di counseling.
Per queste e per innumerevoli altre situazioni peculiari e caratterizzanti l'efficacia del counseling, il counselor è formatore, è l'agevolatore che aiuta la persona in aiuto a chiarire a se stessa bisogni desideri sogni e a distinguere tra loro, a creare priorità per trovare la propria forma. Anche la formazione è strettamente legata al cambiamento in quanto alla sua base è l'apprendimento che è cambiamento: formare è dunque un processo che tenda a dare forma, in cui forma è intesa secondo i fondamenti dell'antropologia pedagogica come assunto dell'essere in divenire dell'uomo, a far sì dunque che assumano una forma attitudini, aspirazioni, opportunità di crescita di ogni individuo. Il processo di formazione richiede condizioni ben precise, come ad esempio: il partire dall'analisi dei bisogni più o meno espliciti del/i soggetto/i coinvolto/i; l'impegnarsi da parte del facilitatore in un processo comune di ricerca e nel costruire congiuntamente all'interlocutore o interlocutori la valorizzazione e il recupero delle esperienze pregresse; il basarsi, quando l'interlocutore è un adulto o un gruppo di adulti, sui princìpi dell'andragogia per cui l'adulto apprende dalle proprie esperienze, intendendole la sua risorsa permanente e discriminante primaria nell'accettare o rifiutare il cambiamento; il sostenere il cambiamento nel dopo, quando ostacoli esterni o rinvigorito scetticismo potrebbero compromettere i risultati di un corretto e nutrito processo di formazione. È evidente che il counseling si nutre esattamente di queste condizioni, prima fra tutte il coinvolgimento empatico del counselor nei confronti della persona in aiuto, o quell'incontro di follow up previsto proprio come l'esplorazione del cambiamento attraverso i risultati concreti realizzati dalla persona che era in aiuto, dopo il percorso di counseling.
Dal testo Cesare Bentivogli e aa.vv., Le competenze invisibili. Formare le competenze che tutti cercano, Franco Angeli, 2013, pag. 188, cito: La formazione è uno strumento di cambiamento che coinvolge la persona nella sua totalità tenendo conto di aspettative, emozioni, motivazioni, comportamenti, valori che sono tra loro connessi e interdipendenti. Forse che il counselor si adopera per altri obiettivi, con altri intenti, modalità, strategie, forse che il counselor può augurarsi qualcosa di diverso per la persona o le persone che gli chiedono aiuto?
"La" vera domanda da porci è: se il counselor è formatore e dunque facilitatore nel dare forma, come può assolvere a questo suo ruolo se egli stesso non ha preso forma? (si veda Elisabetta Madriz, Prendere forma per dare forma, Armando editore, 2011)https://www.counselingitalia.it/articoli/4248-il-counselor-e-formatore
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