martedì 20 ottobre 2009

NON C'E' RIFORMA SENZA PROGETTO EDUCATIVO




(Fonte di Maurizio Moscone)
Un'analisi dei rapporti internazionali sui "valori" dell'insegnamento.
Ancora oggi il testo base di ogni riforma può essere il
rapporto Unesco del '96
curato da Jacques Delors
che proponeva quattro finalità:
"imparare a essere", "a conoscere", "a fare" e "a vivere insieme"


Nell'ultimo decennio, a livello internazionale, sono state proposte ai singoli Stati riforme scolastiche strutturali e globali in documenti redatti da commissioni della Unione europea come il Libro Bianco del 1995, intitolato Insegnare ad
apprendere. Verso una società conoscitiva, e da commissioni dell'Onu, come il Rapporto dell'Unesco del 1996, intitolato
Nell'educazione un tesoro.




In particolare, in quest'ultimo documento viene sostenuta la necessità di realizzare riforme organiche che affrontino in maniera sistemica e unitaria le problematiche relative all'istruzione e alla formazione professionale. Viene infatti sottolineato che «troppe riforme una dopo l'altra possono significare la morte della riforma, poiché non concedono al sistema il tempo necessario per assimilare il cambiamento o per rendere coinvolte nel processo le parti interessate,
inoltre, gli insuccessi del passato mostrano che molti riformatori adottano approcci che si rivelano o eccessivamente radicali o eccessivamente teorici, ignorando ciò che può essere utilmente appreso dall'esperienza o rifiutando le realizzazioni del passato» (Jacques Delors: «Nell'educazione un tesoro, Armando, Roma, 1999). L'Italia oggi si muove
secondo alcune indicazioni contenute nei documenti dell'Unione europea e dell' Onu e sta attuando una riforma che riguarda tutto l'ordinamento scolastico (il «riordino dei cicli»), i curricoli di tutto il sistema di istruzione, l'innalzamento dell'obbligo scolastico e formativo, la parità giuridica tra il servizio scolastico pubblico statale e non statale, l'autonomia
scolastica. Dal dopo guerra a oggi la scuola italiana ha prodotto mini-riforme scollegate l'una dall'altra, prive di un organico progetto pedagogico-istituzionale che orientasse le diverse scelte didattiche e ordinamentali.



La storia dei programmi mostra come essi si siano succeduti uno dopo l'altro al di fuori di una logica riformatrice del sistema scolastico, a eccezione dei programmi redatti da Gentile e da Lombardo Radice che si situano all'interno di una riforma dell'intero sistema, che comprende tutti i gradi dell'istruzione dalla scuola dell'infanzia all'università. Gli attuali
programmi delle superiori sono sostanzialmente identici a quelli vigenti durante il fascismo. I cambiamenti che sono avvenuti dal dopo guerra a oggi sono conseguenti alle sperimentazioni didattiche che le scuole hanno realizzato per adeguare i contenuti dell'insegnamento ai rapidi mutamenti conoscitivi presenti nella cultura odierna, sempre più dominata dai processi di globalizzazione e informatizzazione.

Gli Orientamenti della scuola dell'infanzia, approvati nel 1991, centrati sui «campi di esperienza» hanno rinnovato la didattica di questa scuola, ma si situano all'interno di una struttura scolastica il cui ordinamento statale risale al 1968 e annovera tra le finalità prioritarie di questa istituzione la «assistenza e la preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo», negando, sul piano normativo, l'autonomia e la specificità educativa e didattica della scuola dell'infanzia. I programmi della scuola media, entrati in vigore nel 1979, sono Counseling Italia riguardo ai contenuti da insegnare e ai traguardi conoscitivi che gli alunni devono
raggiungere, ma sono inseriti in un ordinamento obsoleto approvato nel 1962.

I programmi del 1985 della scuola elementare, a differenza dei precedenti, sono collocati all'interno di una struttura ordinamentale, approvata nel 1990, che è stata elaborata e progettata per rispondere adeguatamente, sul piano istituzionale, alle finalità pedagogico-didattiche che i programmi perseguono.La riforma organica di tutto il sistema scolastico risponde, come è stato evidenziato, alle richieste di carattere organizzativo-istituzionale esplicitate da autorevoli organismi internazionali ed è legittimo chiedersi
se la riforma in atto in Italia si muove secondo le finalità educative delineate da tali organismi e, in particolare, dall'Unesco, il quale ha elaborato un documento pedagogico nel quale viene presentato un progetto educativo per la scuola del
ventunesimo secolo.

Imparare a essere. La Commissione internazionale sull'educazione per il ventunesimo secolo,
presieduta da Jaques Delors, ha presentato pubblicamente il proprio rapporto nel 1996 .


La Commissione, nella consapevolezza della varietà di orientamenti religiosi e filosofici presenti nel mondo, ha cercato di
«arrivare ad analisi che siano universalmente valide e a conclusioni accettabili da tutti».



L'educazione viene considerata come espressione di amore per le giovani generazioni e come un diritto che deve essere
garantito nella famiglia, nella scuola e, in generale, nella nazione.

È scritto infatti:

«L'educazione è un'espressione d'amore per i bambini e i giovani, che dobbiamo saper accogliere nella società offrendo
loro, senza alcuna riserva, un posto nel sistema educativo, ovviamente, ma anche nella famiglia, nella comunità locale e
nella nazione».

L'educazione dei giovani deve mirare, primariamente, a «produrre lo sviluppo personale e (...) costruire rapporti tra individui, gruppi e nazioni», poiché l'educazione non si risolve in «un processo continuo di miglioramento delle
conoscenze e delle abilità». Lo scopo dell'educazione scolastica è lo sviluppo integrale, e quindi ontologico, della persona
umana. Le finalità della scuola non sono quindi limitate a obiettivi strumentali relativi all'acquisizione di competenze da parte degli alunni , perché è necessario «andare oltre una visione strumentale dell'educazione, come un processo nel quale ci si sottopone per raggiungere determinati scopi (in termini di abilità, di capacità o di potenziale economico), per
arrivare a una visione che metta in risalto lo sviluppo della persona nella sua interezza, cioè della persona che impara a essere».



Il «pilastro imparare a essere» è caratterizzato dai connotati antropologici comuni alle grandi tradizioni religiose e filosofiche dell'Occidente e dell'Oriente. L'essere umano infatti non è ridotto alla corporeità e ai dinamismi psichici, comespesso avviene nella cultura odierna, ma è inteso come l'unione inscindibile di «spirito e corpo, intelligenza,sensibilità,senso estetico, responsabilità personale e valori spirituali».

Secondo la Commissione la scuola deve favorire lo sviluppo di tutte queste dimensioni presenti in ogni alunno, infatti «fin dalla sua prima riunione la Commissione ha riaffermato con
forza il principio fondamentale che l'educazione deve contribuire allo sviluppo totale di ciascun individuo» .

Particolare attenzione viene riservata all'educazione della ragione, poiché «tutti gli esseri umani debbono essere messi in grado di sviluppare un pensiero autonomo e critico e di formarsi un proprio giudizio, per poter decidere da soli ciò che, a loro parere, debbono fare nelle diverse circostanze della vita». la ragione viene considerata uno dei «talenti» posseduti da
ogni studente, i quali, «tanto per elencare alcuni sono i seguenti: la memoria, la forza del ragionamento, l'immaginazione,l'abilità fisica, il senso estetico, la capacità di comunicare con gli altri (...)».

Questi talenti costituiscono il tesoro potenziale presente in ogni alunno che la scuola deve riuscire a rendere attivo e fecondo, perché «nessuno dei talenti che sono nascosti come un tesoro sepolto in ciascuna persona deve essere lasciato inutilizzato».

Uno dei talenti nascosti che non deve essere lasciato inutilizzato riguarda la responsabilità personale, poiché l'educazione ha il compito di «sviluppare pienamente i nostri propri talenti e di realizzare le nostre potenzialità creative, compresa la responsabilità per la nostra
propria vita e il conseguimento dei nostri fini personali».

L'espressione e la maturazione dei talenti naturali insiti in ogni bambino e ragazzo deve avvenire in un contesto educativo nel quale la scuola interagisce con l'extra-scuola (in
particolare con i moderni mezzi di comunicazione sociale) e consente agli alunni di «sperimentare le tre dimensioni dell'educazione: etico-culturale, scientifico-tecnologica, economico-sociale». L'educazione etico-culturale, scientificotecnologica, economico-sociale è sempre un'esperienza sociale «attraverso la quale i bambini conoscono se stessi, sviluppano abilità interpersonali e acquisiscono conoscenze e abilità di base». Tale esperienza deve iniziare fin dai primi
anni di vita ed essere vissuta all'interno non soltanto della scuola, ma anche delle famiglie e delle comunità locali, le quali devono essere coinvolte attivamente nei processi educativi. È scritto infatti:

«Questa esperienza deve iniziare nella prima infanzia, in forme differenti a seconda delle specifiche situazioni, ma sempre con il coinvolgimento delle famiglie e delle comunità locali». L'educazione, contrariamente a quanto viene affermato da gran parte dei cultori delle scienze
dell'educazione, non si risolve nelle dimensioni scientifico-tecnologiche ed economico-sociali, poiché implica anche principi e motivazioni di carattere etico-culturali. Tali principi e motivazioni consentono all'educazione in generale, e in particolare a quella scolastica, di rispondere ai desideri spirituali, spesso latenti nell'umanità odierna, riguardanti l'esistenza di valori universali, da perseguire nel rispetto del pluralismo culturale.È scritto nel Rapporto: «il mondo, spesso
senza accorgersene, ha un desiderio ardente, spesso inespresso, di un ideale e di valori che noi chiameremo "morali". È quindi nobile compito dell'educazione incoraggiare tutti e ciascuno, agendo in armonia con le loro tradizioni e convinzioni e mostrando pieno rispetto per il pluralismo, innalzare le menti e gli spiriti fino al piano dell'universale e, in certa misura,
al superamento di se stessi.

Non è esagerato, da parte della Commissione, affermare che da questo dipende la
sopravvivenza dell'umanità».

Imparare a conoscere.

La scuola aiuterà gli studenti a «innalzare le menti e gli spiriti al piano dell'universale», nella misura in cui saprà «conciliare un'educazione generale sufficientemente ampia con la possibilità di lavorare in profondità su un determinato numero di discipline». Nella parte del documento riguardante il «pilastro imparare a conoscere» viene affermato più volte che le scuole devono fornire agli alunni «un'educazione generale» o «di base» approfondita sia nei contenuti che nei metodi e una competenza disciplinare relativa a un numero limitato di materie, per evitare uno sterile enciclopedismo.

Imparare a conoscere è una tipologia specifica dell'apprendimento centrata soprattutto sull'acquisizione degli «strumenti stessi della conoscenza».

La scuola deve insegnare agli alunni, fino dalla fanciullezza, le procedure epistemologiche proprie del metodo scientifico, con delle modalità didattiche adeguate alle età. È
scritto infatti:

«È di vitale importanza che tutti i bambini, dovunque possano essere, siano capaci di acquisire una conoscenza del metodo scientifico in una forma adeguata e diventino "amici della scienza" per tutta la loro vita».

Nella scuola secondaria gli alunni approfondiranno l'apprendimento delle metodiche scientifiche, infatti la «formazione iniziale dovrebbe fornire a tutti gli alunni e studenti gli strumenti, i concetti e i punti di riferimento che il progresso scientifico e i paradigmi contemporanei rendono disponibili».

La scuola deve aiutare gli studenti a «imparare a conoscere» per il
piacere insito nello studio in se stesso e non per fini utilitaristici, poiché la base di questo tipo di apprendimento è il «piacere di capire, conoscere e scoprire.

Anche se studiare per un fine non immediatamente utile sta diventando menocomune».

Le giovani generazioni devono essere educate in famiglia e a scuola all'«esercizio della capacità di riflettere» e tale esercizio «deve comportare la necessità di un passaggio continuo dal concreto all'astratto e viceversa».

Questa capacità riflessiva, minacciata oggi dall'influsso negativo della televisione, deve essere potenziata tramite attività educative che favoriscano nei giovani l'attitudine a concentrarsi. Infatti, secondo la Commissione, «fin dall'infanzia, soprattutto nelle società dominate dall'immagine televisiva, il giovane deve imparare a concentrare la propria attenzione su persone e cose (...).

L'apprendimento della concentrazione può assumere molte forme e utilizzare situazioni diverse (giochi, periodi di formazione nelle aziende, viaggi, attività scientifiche pratiche ecc.)». La scuola deve favorire non soltanto l'esercizio della concentrazione, ma anche della memoria, perché esso «è un antidoto necessario contro il rischio di rimanere sommersi dalle informazioni istantanee diffuse dai media.

Sarebbe pericoloso pensare che la memoria sia divenuta inutile a causa delle formidabili capacità tecnologiche di immagazzinare e di diffondere le informazioni di cui ormai disponiamo.
Dobbiamo essere certamente selettivi nella scelta dei dati da "imparare a memoria", ma va attentamente coltivata la facoltà specificamente umana della memoria per associazione, che non può essere ridotta a una forma di funzionamento automatico.

Tutti gli specialisti sono d'accordo nel dire che la memoria deve essere esercitata fin dall'infanzia e che è errato eliminare dalle scuole certi esercizi tradizionali, solo perché ritenuti noiosi». Gli studenti devono acquisire «sia gli strumenti essenziali dell'apprendimento (...) sia i contenuti fondamentali dell'apprendimento».

Tale acquisizione richiede,da parte dei giovani, impegno e fatica, «perché la conoscenza richiede sforzo, concentrazione, disciplina edeterminazione».

Gli insegnanti, oltre a «instillare (...) il gusto del sapere», devono educare la volontà dei giovani,
evidenziando il nesso esistente tra apprendimento e impegno personale. Il ruolo del docente è determinante per l'apprendimento degli alunni, perché «niente può sostituire il rapporto insegnante-alunno, un rapporto che è rafforzato dall'autorità e si sviluppa attraverso il dialogo. Ciò è stato ripetutamente dimostrato dai grandi pensatori che si sono dedicati
al problema dell'educazione».

Il docente è l'auctoritas (il termine deriva dal verbo augere che significa «far crescere» )
che, in atteggiamento di dialogo verso le giovani generazioni, trasmette il patrimonio di conoscenze che l'umanità ha acquisito nei secoli, perché, «appartiene alla responsabilità dell'insegnante impartire all'alunno le conoscenze acquisite dall'umanità su se stessa, sulla natura e su tutto ciò che di importante essa ha creato e inventato».

Compete all'insegnante trasmettere la cultura tradizionale di un popolo, nell'attuale momento storico, in cui la «cultura subisce un costante processo di globalizzazione».Tale processo comporta speranze e rischi, «non ultimo dei quali il rischio di dimenticare il carattere unico dei singoli esseri umani; se ne deve scegliere il futuro e realizzare le piene potenzialità, badando
attentamente alla ricchezza delle rispettive tradizioni e culture, che, se non si è attenti, potrebbero essere danneggiate dagli sviluppi del mondo contemporaneo».

Gli insegnanti «dovrebbero lavorare in équipe, particolarmente nelle scuole
secondarie» e la loro attività didattica dovrebbe essere supportata, oltre che dai «materiali didattici tradizionali quali sono i libri», anche dai «nuovi media, quali le tecnologie informatiche , che dovrebbero essere usate con discernimento e con 'attiva partecipazione degli alunni». I curricoli scolastici dovrebbero «salvaguardare le caratteristiche essenziali di
un'educazione di base» per fronteggiare la «tensione tra l'espansione straordinaria delle conoscenze e la capacità degli esseri umani di assimilarle».

La scuola nel suo complesso dovrebbe fornire agli alunni una «solida educazione di base»,
che consenta loro di discernere la qualità delle svariate opportunità di apprendimento offerte dalla società odierna e di utilizzarle per la loro crescita personale. È scritto nel documento: «La verità è che ogni aspetto della vita, a livello sia individuale che sociale, offre opportunità di apprendimento e di azione. Si è davvero tentati, allora, di privilegiare
eccessivamente questo lato del problema, sottolineando il potenziale educativo dei mass media moderni, delle attività lavorative o anche di quelle culturali e del tempo libero, fino a trascurare certe verità fondamentali: anche se la persona umana ha bisogno di valorizzare ogni opportunità per apprendere e per migliorarsi, non saprà di fare buon uso di tutte queste potenziali risorse se non avrà ricevuto una solida educazione di base».

Questa educazione di base deve fornire
agli alunni dei «punti di riferimento» certi che consentano loro di orientarsi nell'odierna «società cognitiva», nella quale «conoscenze e cognizioni tecniche» sono «in continua evoluzione». L'acquisizione di tali punti di riferimento consentirà agli studenti di «non essere sommersi dal flusso delle informazioni, molte delle quali effimere, che stanno invadendo la
sfera pubblica e privata (...)».

La scuola non viene quindi intesa come una funzione del sistema sociale, perché il suo
compito non è «più tanto il preparare i bambini per una determinata società, quanto il fornire a tutti gli individui le forze e i punti di riferimento di cui essi hanno bisogno per capire il mondo che li circonda e per comportarsi in maniera responsabile e giusta».

La scuola non deve quindi preoccuparsi di far apprendere agli alunni competenze e abilità che
difficilmente potranno essere utilizzate in futuro nella odierna società complessa e in continua trasformazione, poiché «più che mai, il ruolo fondamentale dell'educazione sembra essere quello di dare agli individui la libertà di pensiero, di giudizio, di sentimento e di immaginazione di cui essi hanno bisogno per poter sviluppare i propri talenti e per rimanere per quanto
è possibile al controllo della propria vita».

L'acquisizione della «libertà di pensiero, di giudizio, di sentimento e di immaginazione» consentirà ai giovani di inserirsi positivamente e attivamente nel mercato del lavoro, avendo maturato un modo di pensare duttile, capace di interpretare e governare i cambiamenti in atto nel mondo dell'economia, della tecnologia, e, in generale, della cultura. Nel mondo odierno, in continuo cambiamento, è necessario educare le giovani generazioni alla creatività e all'immaginazione, anche tramite l'arte e la poesia, che le scuole oggi non valorizzano
adeguatamente sul piano culturale. Secondo la Commissione «in un mondo in continua trasformazione, in cui l'innovazione sociale e economica sembra essere una delle principali forze motrici, si deve dare senza dubbio un posto speciale alle doti dell'immaginazione e della creatività, le manifestazioni più chiare della libertà umana, che possono subire il rischio di una certa standardizzazione del comportamento individuale.

Il ventunesimo secolo ha bisogno di questa varietà di talenti e di personalità; esso ha bisogno anche di individui eccezionali, egualmente fondamentali in ogni civiltà.

Èquindi importante fornire ai bambini e ai giovani ogni possibile opportunità di scoperta e di esperienza (di natura estetica, artistica, sportiva, scientifica, culturale e sociale), come anche presentazioni attraenti di ciò che hanno saputo creare le generazioni contemporanee e del passato. All'arte e alla poesia, troppo spesso insegnate in prospettive divenute più
utilitaristiche che culturali, si dovrebbe restituire nelle scuole più importanza di quanta comunemente viene loro data in molti Paesi».

Imparare a fare.

Le scuole devono imparare a valorizzare l'arte e la poesia per incrementare le capacità
creative dei giovani.

Tali capacità li aiuteranno non soltanto a «imparare a conoscere», ma anche a «imparare a fare».
Questo pilastro dell'educazione, oltre all'apprendimento di un mestiere, «dovrebbe comportare, più in generale,l'acquisizione di una competenza che possa consentire all'individuo di affrontare una varietà di situazioni, spessoimprevedibili (...)».

La competenza che il giovane deve apprendere nell'ambito del saper-fare deve essere di carattere«personale» e gli deve consentire di interagire con il mondo dell'industria, dove il progresso tecnologico è continuo e accelerato e le abilità professionali sono insufficienti a governare le innovazioni, soprattutto nel campo dell'informatica.
Infatti, «nell'industria, specialmente per gli operatori di macchine e per tecnici, la supremazia dell'elemento cognitivo e di quello informativo, come fattori nei sistemi di produzione, sta rendendo superata l'idea di abilità professionale e mettendo in primo piano quella di competenza personale». La competenza personale, secondo la Commissione, è «un misto,specifico per ciascun individuo, di abilità nel senso stretto del termine, acquisita attraverso la formazione tecnica e
professionale, di comportamento sociale, di un'attitudine al lavoro di gruppo, e d'iniziativa e disponibilità ad affrontare rischi».

I datori di lavoro richiedono personale che possegga competenze personali e non specifiche abilità professionali.
Infatti, «anziché richiedere un'abilità, che essi vedono ancora troppo strettamente legata all'idea di cognizioni tecniche, idatori di lavoro richiedono la competenza».La Commissione è «consapevole del contributo che l'educazione deve dare
allo sviluppo economico e sociale» e per superare l'attuale inadeguatezza esistente tra offerta e domanda di lavoro propone un sistema scolastico flessibile, che permetta una «maggiore diversità curricolare e costruisca passaggi tra i vari sistemi di istruzione, o tra la vita lavorativa e ulteriori corsi di formazione.

Una tale flessibilità contribuirebbe anche aridurre il fenomeno della mortalità scolastica e il terribile spreco di potenziale umano che ne risulta».

Imparare a vivere
insieme, imparare a vivere con gli altri. Secondo la Commissione, i giovani a scuola devono imparare non solo a essere,conoscere e fare, ma anche a «vivere insieme e vivere con gli altri». Questo pilastro dell'educazione è basilare percercare di superare le rivalità tra le nazioni e le tensioni tra Paesi poveri e Paesi ricchi e aiutare ogni giovane acomprendere e dialogare con il diverso da sé, scoprendo nell'altro elementi di diversità e di somiglianza. Infatti il «compito
dell'educazione è insegnare, nello stesso tempo, la diversità della razza umana e una consapevolezza delle somiglianze e dell'interdipendenza tra tutti gli esseri umani». La scuola, insieme alla famiglia e alla comunità, deve aiutare ogni giovane a scoprire la propria identità personale, perché «se si debbono capire gli altri, è necessario innanzitutto capire se stessi».
La scuola, per favorire la collaborazione attiva e reciproca tra gli studenti, deve elaborare e attuare progetti educativi che coinvolgano gli alunni, fino dall'infanzia, in attività comuni, di carattere culturale, sociale e sportivo. Infatti, secondo la Commissione, «l'educazione formale deve (...) fornire abbastanza tempo e opportunità nei suoi programmi per iniziare igiovani, fin dall'infanzia, a progetti cooperativi attraverso la partecipazione allo sport o ad attività culturali, e ancheattraverso la partecipazione ad attività sociali come il rinnovamento dei quartieri, l'aiuto agli svantaggiati, l'azione umanitaria, la solidarietà intergenerazionale».

Il progetto scolastico dell'Unesco e la sua realizzazione politica.


I quattropilastri dell'educazione,

«imparare a essere, a conoscere, a fare, a vivere insieme»,

dovrebbero essere, secondol'Unesco, i fondamenti della scuola del ventunesimo secolo. Questi pilastri fondano anche la scuola italiana progettata dalla Riforma Berlinguer? Un'analisi di tutto l'impianto della riforma, e in particolare dei Contenuti essenziali per la formazione di base (1997) e degli Indirizzi per l'attuazione del curricolo (2001), evidenzia con chiarezza i seguenti
elementi. Riguardo al pilastro «imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri», la Riforma Berlinguer propone un percorso educativo analogo a quello elaborato dalla Commissione Delors e, in particolare, valorizza forme di collaborazione e integrazione tra alunni normodotati e disabili. Relativamente al pilastro «imparare a essere» nella riforma viene enfatizzata la centralità del «soggetto che apprende», al quale deve essere rapportata ogni modalità di
insegnamento.Tale soggetto che apprende non è però, propriamente, una persona, ma è piuttosto un individuo puramente cognitivo-operativo. L'essere dell'alunno, infatti, si risolve nelle competenze acquisite e da acquisire, misconoscendo la complessità delle dimensione umane evidenziate dalla Commissione dell'Unesco: «spirito e corpo,intelligenza, sensibilità, senso estetico, responsabilità personale e valori spirituali». Secondo la Riforma Berlinguer lo
studente sarebbe un soggetto che si sviluppa progressivamente, tramite un processo di insegnamento-apprendimento,perfezionando le proprie competenze di anno in anno.

Riguardo al pilastro «imparare a conoscere» la riforma prevede un «curricolo per competenze»; intendendo per competenza la capacita di utilizzare conoscenze. In tale curricolo non viene
affermato il valore dello studio in sé e il piacere per la conoscenza in quanto tale, indipendentemente da ogni scopo utilitaristico. Inoltre è assente ogni richiamo alla necessità di fornire agli alunni una solida educazione generale che consenta loro di acquisire gli strumenti ermeneutici necessari per orientarsi nel mondo attuale in continuo cambiamento.
È assente anche ogni riferimento all'impegno personale che deve essere assunto da ogni alunno nei confronti dello studio. Il ruolo educativo dei genitori in rapporto alla scuola viene misconosciuto. Il docente non viene considerato
un'auctoritas che guida gli studenti alla conoscenza della verità, ma viene inteso come un «mediatore didattico» che esegue i compiti professionali previsti dal curricolo. La tradizione specifica del popolo italiano viene azzerata e sostituita con una generica e confusa cultura mondialista. All'insegnamento di carattere disciplinare viene preferita l'attività didattica
organizzata per nuclei tematici. Relativamente al pilastro «imparare a fare» la Riforma Berlinguer mira a fare acquisire agli alunni abilità immediatamente spendibili nel mercato del lavoro e non invece la «competenza di affrontare molte situazioni e di lavorare in gruppo». Le forze politiche che hanno ideato e sostenuto la Riforma Berlinguer, essendo egemonizzate da un partito post-comunista, non hanno potuto riformare la scuola seguendo le indicazioni educative
espresse dalla Commissione dell'Unesco. È auspicabile, per il futuro delle giovani generazioni italiane, che nuove forze politiche sappiano instaurare un dialogo fecondo tra laici e cattolici e riformare la nostra scuola sul fondamento dei quattro pilastri dell'educazione.Tale riforma, secondo gli intendimenti della Commissione Delors, deve coinvolgere «innanzitutto la comunità locale, compresi i genitori, dirigenti scolastici e insegnanti, poi le autorità pubbliche, e in terzo
luogo la comunità internazionale». La riforma della scuola italiana non può essere imposta in modo autoritario e senza una reale partecipazione democratica dei soggetti interessati, come è accaduto con la Riforma Berlinguer, perché i «tentativi di imporre le riforme dei sistemi educativi dall'alto o dall'esterno sono ovviamente falliti».

SCHOOLCOUNSELING


SCHOOLCOUNSELING
Chi Forma i Formatori?
Avete mai sentito parlare di Schoolcounseling ?
E’ la formazione specialistica di docenti e la predisposizione di sportelli di Schoolcounseling nelle scuole , per “facilitare il dialogo” mediante acquisizione di tecniche di relazione empatica (counseling) e agevolare negli allievi il superamento delle problematiche legate al mondo della scuola (difficoltà di inserimento nel gruppo classe, conflittualità con i compagni e con i docenti, disorientamento rispetto allo studio ed alle scelte future, riflessi e conseguenze di situazioni pregresse legate al contesto familiare ed affettivo che ricadono nel rendimento scolastico dell’alunno)
La Formazione intende rivolgersi prevalentemente a docenti delle scuole medie e superiori , con particolari attitudini alla comunicazione ed all’ascolto, che acquisiscano una nuova professionalità destinata ad espandersi anche in rapporto alle esigenze comunitarie, orientate ad una integrazione dei saperi e di nuove metodologie di intervento. Sono una Docente di una scuola di frontiera romana…
Sono formata in Counseling scolastico….ma ho sempre lavorato PRIMA di TUTTO sul POTENZIALE UMANO”, sulla facilitazione della comunicazione.I mass media ,le nuove tecnologie SEMBRANO rendere la vita piu’ ricca e facile … ma il valore… il TESORO che e’ in ognuno di noi nella nostra UNICITA’ ed IIRRIPETIBILITA’ chi riesce a TRARLO fuori con sapiente arte MAIEUTICA?
EDUCARE = EX DUCERE = PORTARE FUORI
Che cosa ?
LA parte MIGLIORE di NOI !!!
Quanti Insegnanti oltre che dispensare SAPERE … COMUNICANO SAPERE
e sollecitano il POTENZIALE che c’e’ ESISTE nell’allievo?
Purtroppo sono per primi gli INSEGNANTI oltre ai GENITORI talvolta a MORTIFICARE lo sviluppo del potenziale … non riconoscendolo per primi DENTRO di LORO .
Se si giunge a questi estremi e’ sicuramente dipeso dal sociale in cui viviamo :sociale famigliasociale scuola,sociale in cui gli interessi prevalenti spesso LOBOTOMIZZANO il cervello.ricordate il film MATRIX?
Se puo’ interessante gia’ Thomas Gordon si interessava dell’efficacia dell’insegnamento:
Gordon propone alcune metodologie utili in classe per creare un’efficace relazione fra insegnante e allievo e fra gli allievi stessi.
Il clima è quello rogersiano: grande importanza rivestono l’accettazione, l’autenticità, l’empatia, la corretta comunicazione nel rapporto fra adulti e giovani al fine di promuovere l’autofiducia, l’autocontrollo, l’autodisciplina, la creatività, sviluppando così negli studenti il senso di autonomia e di responsabilità, nonché la capacità di contribuire nel definire le regole che governano la vita della classe.
Gordon, considera che genitori ed insegnanti, pur mossi da buone intenzioni, tuttavia non sempre riescono ad aiutare i ragazzi nel risolvere le loro difficoltà, poiché si rapportano in modo sbagliato, ne bloccano la creatività, ne diminuiscono la fiducia in sé stessi, …
Gli insegnanti trascorrono molto del loro tempo ad imporre la disciplina.
I metodi basati sul potere e sulla repressione, anche se riescono a causare momentaneamente un cambiamento nel comportamento dello studente, di solito provocano resistenza, ritorsioni, ribellioni.
Il linguaggio tradizionale connesso al potere è costituito dall’uso di termini come :
punire, minacciare, porre dei limiti, mantenere l’ordine, controllare, dirigere, ordinare, sgridare, esigere, disciplina, rigidità, …
Il problema della disciplina può essere risolto con l’autoritarismo o il permissivismo, entrambi metodi inadeguati, che implicano forte stress ed un rapporto di forza che sfocia inevitabilmente nella dinamica vincitori e vinti; con l’aggravio, per questi ultimi, del senso di sconfitta e sentimenti di rancore e rivalsa.Il problema del ruolo evidenzia come l’insegnante tema di apparire per quello che egli è, con pregi e difetti,
… e si mostri come persona che “sa tutto”, non sbaglia mai, non perde mai la calma.

Gordon si propone di insegnare a impostare una relazione efficace con gli studenti, ed a gestire le dinamiche interne di una scolaresca attraverso:
• procedimenti che portano l’insegnante a “trasformare sé stesso” nel modo di trattare con gli allievi;
• insegnare ai docenti ad incoraggiare e stimolare maggiori responsabilità nei giovani a loro affidati.
Tre sono le tecniche fondamentali che il metodo Gordon propone per modificare i comportamenti inadeguati:
1. l’ascolto attivo;
2. il messaggio in prima persona;
3. la risoluzione dei conflitti con il metodo del problem solving.
Il problema della disciplinaGli insegnanti trascorrono molto del loro tempo ad imporre la disciplina.
I metodi basati sul potere e sulla repressione, anche se riescono a causare momentaneamente un cambiamento nel comportamento dello studente, di solito provocano resistenza, ritorsioni, ribellioni.
Il linguaggio tradizionale connesso al potere è costituito dall’uso di termini come punire, minacciare, porre dei limiti, mantenere l’ordine, controllare, dirigere, ordinare, sgridare, esigere, disciplina, rigidità, …
Un’alternativa valida può essere offerta dall’uso di un nuovo vocabolario, che contiene parole come confrontarsi, collaborare, cooperare, andare d’accordo,mediare, negoziare, rispondere alle esigenze, risoluzione di problemi, …
L’esperienza di Gordon, nei corsi “Insegnanti efficaci” ha portato a evidenziare, per la maggioranza dei docenti, una sorprendente mancanza di comprensione del rapporto insegnante–studente e spesso dei rapporti umani in generale.
L’autore afferma che pochi insegnanti entrano in classe con un modello che serva da riferimento per guidare il loro stesso comportamento.
Ma…………………… CHI FORMA ………….. I FORMATORI ?Chi decide di fare l’insegnante non puo’ solo saper dispensare SAPERE!




Comunicazione Efficace

La prima, elementare, definizione di comunicazione è "trasferimento di informazioni da un emittente ad un ricevente a mezzo di messaggi".Questa definizione è formalizzata nel 1949 da Shannon a Wear, due scienziati americani che lavorano ai laboratori Bell e si occupano di circuiti telefonici.Appare evidente che questo modello non tiene conto di molte variabili, che sono essenziali per comprendere perché, come, con quale efficacia avviene il processo di comunicazione. Ad esempio: - L'emittente chi è, che cultura ha, che scopi ha?- Il ricevente chi è, che cultura ha, che cosa si attende dall'emittente, che "immagine" ha di lui?- L'ambiente in cui avviene la comunicazione di che tipo è? E' partecipe o neutrale? I valori, le attese, gli atteggiamenti di chi è "intorno", quali sono e come influiscono nel modificare, distorcere, ridurre ed evidenziare i contenuti della comunicazione?Sono tutti quesiti che rimandano a precisi campi di studio ed analisi.A questo proposito una particolare attenzione deve essere dedicata al problema di accettarsi di conoscere la cultura del ricevente. Infatti, accade meno infrequentemente di quanto si creda che il comunicatore (emittente) sviluppi un processo di comunicazione nella convinzione di essere compreso dal ricevente (destinatario), mentre il messaggio viene da quest'ultimo non compreso o completamente distorto, dando luogo a fraintendimenti disastrosi, per cui il bianco diventa nero e viceversa.Il problema di farsi capire, quindi, non è semplicemente un problema di codice linguistico (se uno mi parla in cinese o in giapponese, lingue che io ignoro, non lo capirò mai): è anche un problema di codice culturale.Domanda: quante volte ciascuno di noi ha usato parole, concetti, locuzioni, che molto probabilmente il nostro interlocutore non ha compreso?UNA RIVOLUZIONEE' però nel 1967 che avviene la "rivoluzione copernicana" negli studi sulla comunicazione. In quell'anno lo psicologo Watzlawick e altri suoi colleghi della "Scuola di Palo Alto" pubblicano un volume, "Pragmatica della comunicazione umana", in cui si afferma:C'è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale e, proprio perché troppo ovvia, viene spesso trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole non esiste qualcosa che sia "non comportamento" o, per dirla ancora più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l'intero comportamento, in una situazione di interazione, (tra persone, esseri viventi, ecc.) abbia valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, né consegue che, comunque ci si sforzi, non si può non comunicare.L'attività o l'inattività, le parole o il silenzio, hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e, in tal modo, comunicano anche loro.Dovrebbe essere ben chiaro che il semplice fatto che non si parli o che non ci si presti attenzione reciproca non costituisce eccezione a quanto è stato asserito. L'uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una tavola calda affollata o il passeggero di un aereo che siede con gli occhi chiusi stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare ad alcuno né vogliono che si rivolga loro la parola; e i vicini, di solito, afferrano il messaggio e rispondono in modo adeguato, lasciandoli in pace. Questo, ovviamente, è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata.L'opera di Watzlawick apriva la via a tutto un ampio settore di ricerche e di scoperte.La definizione di comunicazione veniva quindi, successivamente, riformulata nel senso che è comunicazione "qualsiasi evento, cosa, comportamento che modifica il valore di probabilità del comportamento di un organismo".Pertanto, come vedremo, lo studio della comunicazione non si limita agli aspetti verbali (alle parole), ma si allarga a comprendere gli oggetti di cui l'emittente è circondato (abbigliamento, arredamento della stanza, ecc.) l'ambiente (la solennità delle cattedrali e dei tribunali, la sciattezza degli uffici pubblici, l’anomia delle aule scolastiche, l’asettica aria d'efficienza della sede di una multinazionale), il modo di gesticolare, di guardare, di alzare o abbassare la voce e così via.Da ciò consegue che, non essendo possibile "non comunicare", occorre sempre porsi il problema di comunicare: occorre quindi formulare strategie, definire obiettivi, programmare attività di comunicazione.Lasciare queste cose al caso non significa - come si è visto - "non comunicare" (che è impossibile): significa, invece, comunicare proprio ciò che non si vorrebbe: sciattezza, incongruenza tra parole e comportamenti, mancanza di stile e così via; significa lasciare l'interlocutore nella incertezza circa gli obiettivi e le finalità perseguite dall'emittente, con la possibilità per quest'ultimo di lasciarsi attribuire le intenzioni e gli obiettivi più assurdi o più contraddittori.Per chi opera nella scuola questo significa che è impossibile non porsi un problema di comunicazione: ignorare questo argomento significherebbe semplicemente fare della cattiva comunicazione con degli effetti imprevedibili e non rispondenti alle intenzioni.Anche in ambito scolastico dunque deve essere presente quel minimo di conoscenza in materia, necessario a consentire di evitare gli errori più macroscopici e possibilmente ottenere, al contrario, la realizzazione di una comunicazione efficace, motivante, esattamente rispondente alle finalità che l'emittente si propone di ottenere.Finora abbiamo parlato di comunicazione come di un processo ad una sola direzione: dall'emittente al ricevente.Di fatto, la comunicazione non è mai ad una sola via, perché sempre il ricevente è in grado di far sapere all'emittente, "come la pensa" e quindi non può non influire, con le sue parole e il suo comportamento, sul successivo procedere del processo si comunicazione.Ma che vi sia interazione tra riceventi ed emittente è vero anche nel caso delle conferenze (tosse, rumori in sale, molti ascoltatori che si allontanano, segni di disattenzione) e persino delle trasmissioni radio - televisive (indici di ascolto, presenza pubblicitaria, lettere e telefonate, alla stazione emittente, di approvazione o di protesta, ecc.)Dalla conoscenza di questi punti deriva un elemento di grande importanza: per sviluppare una buona comunicazione occorre saper ascoltare.Il comunicatore che non ascolta è come un giocatore di ping pong che non riesce a prendere la pallina quando gli viene ribattuta dall'avversario.Soltanto se ascoltiamo attentamente i nostri interlocutori possiamo realizzare una comunicazione efficace: in caso contrario si ha il soliloquio, il tipico discorso tra sordi, ovvero, peggio ancora, il comportamento autistico di colui che chiuso nel suo mondo di fantasia non riesce a comunicare.Come ben si comprende, questo ha una grande importanza nel contesto scolastico. Un difetto molto comune, che viene compiuto allorché si comunica a scuola, è appunto costituito dalla scarsa attenzione per quanto ha da dire il nostro interlocutore. Si parte "sparati" ad affermare questo o quello, a fare proposte, a lamentarsi, o a redarguire, senza ascoltare o ascoltando poco o niente.Così si perde tempo da entrambe le parti, perché la comunicazione sarà priva di quei risultati che invece avrebbe potuto produrre se le obiezioni o le proposte avanzate dall'interlocutore fossero state ascoltate e quindi accettate in tutto o in parte, o anche respinte, ma sulla base di buone argomentazioni capaci di convincere colui che aveva fatto obiezioni.Insomma, è chiaro che la reale, genuina attenzione per i bisogni e le prospettive dell'interlocutore costituisce sempre e in ogni circostanza la premessa indispensabile allo svolgimento di un efficace processo di comunicazione.L’ENERGIA NELLA COMUNICAZIONE A SCUOLAChi comunica , orienta e dirige il proprio sforzo per farsi comprendere, per influenzare, per valutare, per ascoltare ed esprimere: problemi, necessità, interessi, opinioni, ecc. Tutto ciò ci permette di entrare in relazione di comunicazione con gli altri.Come esempio di tale atto comunicativo vogliamo presentare come avviene l’investimento di energia che spesso viene richiesto nella relazione tra insegnanti e allievi. Ciò che il ragazzo comunica all’insegnante è influenzato dalla reciproca percezione.Il processo di percezione è determinato dalla valutazione che si ha della persona con cui si interagisce. Questa valutazione definisce il processo di attribuzione di intenzioni in funzione dell’azione comunicativa in atto tra gli attori stessi della comunicazione: richiesta di aiuto, valutazione, ordine, sanzione, ecc…L’allievo, in relazione alla sua attribuzione verso l’insegnante, per comunicare deve investire la sua energia in differenti aspetti, tra cui:1. Comprendere ciò che l’insegnante vuole;2. Capire come dovrebbe dire ciò che l’insegnante desidera;3. Prestare molta attenzione a non dire o esprimere non verbalmente ciò che l’insegnante non vuole sentirsi dire, viceversa fornire la risposta attesa;4. Far comprendere all’insegnante ciò che egli stesso desidera.Se ci troviamo in un clima relazionale di tipo giudicante /doveristico o in una situazione in cui non si sono mai elaborate congiuntamente, le reciproche attribuzioni insegnante-allievo, una grande quantità di energia verrà utilizzatata dal ragazzo per auto-controllarsi in funzione dei punti 1 e 3 sopraesposti.E’ chiaro che un processo di questo tipo si sviluppa a danno dell’energia utilizzabile invece in favore di una comunicazione efficace espressa dai punti 1 e 4 in funzione di un miglioramento dell’ apprendimento e di una interazione più soddisfacente per entrambi gli attori.UNA CHIAVE DI LETTURA RELAZIONALEQuando due persone si incontrano cercano di stabilire delle relazioni e di comunicare, essenzialmente per ottenere dei segni di riconoscimento che potremmo definire con: stimolo, contatto, carezza, toccare, colpo, far centro, riconoscere l’altro, colpirlo, gratificarlo, attaccarlo,… comunque, dirgli che esiste e che ha importanza, nel bene e nel male. Queste carezze possono infatti essere considerate come delle reali unità di misura delle relazioni umane. Infatti, più la carezza sarà intensa, oppure svalutante, più la relazione sarà considerata come positiva, oppure negativa, dalla persona. Così, secondo l’Analisi Transazionale, l’intensità o la colorazione piacevole o spiacevole delle nostre relazioni umane possono essere caratterizzate e in un certo modo misurate, facendo riferimento al grado di carezza scambiate.All’origine di tutti i nostri rapporti esiste questo bisogno imperioso di carezze. E’ una vecchia storia! Un individuo non può sopravvivere, se non a condizione che gli altri si occupino di lui, pensino a lui, manifestino sentimenti nei suoi riguardi: ciò si traduce in scambi, verbali e non verbali e in contatti psichici : conversazione sorrisi, sguardi significativi, strette di mano, baci o carezze.Ciascuno ha bisogno di essere riconosciuto e di riconoscere l’altro, di scambiare carezze: “io esisto, tu esisti” (cfr. le esperienze effettuate su neonati che muoiono per carenza di contatti fisici). OKEITA’ ?Questa sete di carezze è così importante che è stato provato che un individuo preferisce ricevere dagli altri carezze negative, piuttosto che non riceverne.LE CAREZZE A SCUOLAIl condizionamento culturale europeo non favorisce né l’espressione, né l’accettazione delle carezze positive, siano esse condizionali, per cui l’altro è riconosciuto per quello che fa, o incondizionali, per cui l’altro è riconosciuto per quello che è, potendo ciascuna essere positiva o negativa. E’ un’affermazione che si può già verificare in famiglia: i genitori danno molta più importanza al brutto voto del loro figlio in una materia, che alla sua buona riuscita in un’altra disciplina.Analogamente può accadere tra i diversi ruoli che interagiscono nella scuola, per cui un incarico affidato in ottica collaborativa e ben svolto è considerato una cosa normale e non sarà sanzionato positivamente, per contro, un insuccesso sarà sottolineato e commentato. La carezza positiva è invece determinante se si vuole rafforzare l’impegno nel lavoro di una persona.La stessa cosa è vera anche nel rapporto pedagogico.E’ nota infatti l’importanza d’aumentare l’interesse in colui che impara, per stimolare in lui il desiderio di continuare ad imparare. Ora, per le stesse ragioni di condizionamento culturale l’insegnante spesso è portato a non lasciarsi andare ad “accarezzare positivamente” l’allievo, come,, allo stesso modo, quest’ultimo non s’aspetta di ricevere una carezza positiva. All’opposto, sanzionare negativamente è ammesso, anche se è meno efficace.Questa negazione di carezze positive si spiega col fatto che l’insegnamento è basato sulla differenza illusoria tra l’insegnante che sa, che ha ragione, che corregge e l’allievo che non sa, che ha torto, che deve essere emendato. La carezza positiva, in un simile contesto, ha sentore di favoritismo (il beniamino) ed è vissuto dalle due parti come colpevolizzante.Quando l’insegnante è confermato nel suo valore di pedagogo, vale a dire quando constata che l’allievo lavora bene, la carezza positiva che gli dà è, alla fine, una carezza che dà a se stesso, ma non appena la difficoltà del compito lo rimette di fronte alla sua incapacità di pedagogo, alla sua difficoltà di individuare la spiegazione adeguata alla comprensione dell’allievo, egli toccato nel suo Bambino Adattato che non riesce, provvede subito ad accarezzare negativamente l’allievo e in maniera incondizionata.Si può dire nello stesso modo, che è a se stesso che indirizza quella carezza negativa?E’ sempre lui che determina la realtà della situazione, è l’allievo che ne fa le spese.Ed è così che si deteriora il rapporto pedagogico. Imparare ad “accarezzare” positivamente l’altro non è cosa comune.Tuttavia ciò rafforzerebbe la sua motivazione, gli darebbe fiducia e lo condurrebbe verso la riuscita.Una pedagogia fondata su carezze positive è molto più efficace di una pedagogia repressiva fondata su transazioni di dipendenza e subalternità(Genitore Critico – Bambino Adattato) ,e la relazione interpersonale così creata è positiva sia per l’insegnante che per l’allievo.